Frode nelle pubbliche forniture

L’istituto alla luce della recente giurisprudenza

di Andrea Aglietto

– Sommario

– La norma di riferimento

Art 356 c.p., cc. 1-2:

“Chiunque commette frode nella esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 1.032.

La pena è aumentata nei casi preveduti dal primo capoverso dell’articolo precedente”.

 

Le posizioni dottrinali

Sul contenuto della nozione di “frode” si è dibattuto da sempre in dottrina.

La refrattarietà del concetto ad esplicitarsi in precisi modelli comportamentali, ed il significato proteiforme assegnato alla nozione nelle varie disposizioni del codice, hanno dato luogo in effetti ad una pluralità di ricostruzioni.

E’ ben vero tuttavia che, fra gli autori, a parte qualche indirizzo iniziale, si registra un sostanziale quadro di convergenza sulla circostanza che la “frode” consista ed esiga un quid pluris rispetto alla contigua fattispecie di inadempimento. E’ la differenza tra le pene edittali previste dalle rispettive fattispecie (artt. 355 e 356 c.p.) a segnalare del resto che la “frode”, rispetto all’inadempimento, deve contraddistinguersi per la presenza di qualcosa di più “sostanzioso” e più grave rispetto al semplice inadempimento pur doloso dello stesso contratto.   

Le opinioni peraltro differiscono quando si tratta di identificare l’esatta consistenza del concetto, anche se appare possibile cogliere, fondamentalmente, tre diversi orientamenti.

Per una impostazione più risalente, cui ha prestato adesione la successiva giurisprudenza più diffusa, la “frode” può essere identificata, in base al modello dell’art. 515 c.p. ed in assenza di altre indicazioni testuali contenute nell’art. 356 c.p., nella consegna di una cosa per un’altra o anche nella consegna di una cosa o di un’opera diversa da quella pattuita o dichiarata per origine, provenienza, qualità e quantità. Ed è necessario che una simile difformità costituisca oggetto di precisa rappresentazione e volontà.

Su posizioni opposte si colloca invece altro indirizzo per il quale la “frode” è concetto che anzitutto richiede comportamenti attivi e diretti a dissimulare l’inadempimento del contratto. E che, in secondo luogo, comporta la cooperazione del soggetto ingannato: per un verso, l’induzione in errore del creditore pubblico, per altro verso anche il compimento di un definitivo atto di accettazione di quest’ultimo, che, nella fattispecie in esame, si risolve nell’espresso o tacito riconoscimento che l’obbligazione è adempiuta, con conseguente liberazione del debitore.

Per un approccio per così dire intermedio, invece, fermo restando che la condotta fraudolenta esprime il richiamo a comportamenti attivi, non è necessario che la stessa produca l’induzione in errore né la cooperazione del soggetto passivo. Secondo tale opinione, probabilmente la più corretta, si tratta di un comportamento costituito da un mezzo malizioso ed astuto volto a creare le apparenze di un risultato contrattuale mai raggiunto.

Nell’ambito poi di tale opinione, con diverse sfumature, si sottolinea come, in particolare, la stessa “frode” vada ravvisata in un qualche espediente con cui il contraente cerchi di conseguire un illecito profitto fornendo cose od opere per qualità o quantità diverse da quelle dovute. O che la stessa si sostanzi in una qualche forma di dissimulazione tesa a far passare inosservata la difformità della cosa, senza la necessità che il comportamento dissimulatorio debba essere dotato di attitudine ingannatoria. Per ulteriore opinione, la “frode” consiste, oltre alla consegna di opere o cose difformi, in una condotta dotata di capacità intrinsecamente ingannatorie, con la quale si mira a simulare l’avvenuto adempimento e ad indurre in errore il contraente pubblico. 

 

La giurisprudenza

Per un certo indirizzo prevalente, espresso già in fase risalente, la “frode” è nozione che non richiede l’impiego di alcuna astuzia o malizia, né di condotte miranti all’inganno: essa identifica piuttosto una condotta di inadempimento, connotata da malafede contrattuale e rinvenibile precisamente nella deliberata scelta di fornire, alla Pubblica Amministrazione, cose, opere o servizi diversi da quelli pattuiti o dotati di caratteristiche difformi, per provenienza, origine, qualità o quantità.

Per altro orientamento la “frode” dell’art. 356 c.p. non può risolversi affatto in un mero inadempimento, per quanto grave o frutto di volontaria scelta di trasgredire le condizioni contrattuali. E’ necessario cioè, per tale indirizzo, qualcosa di più grave, consistente nell’utilizzo di espedienti maliziosi diretti a far apparire realizzato il risultato costituente l’oggetto del rapporto negoziale.

Di recente si è precisato che la “frode” è concetto che evoca certamente condotte di malafede contrattuale, ma che lo stesso, già dal punto di vista letterale, va interpretato in termini di espediente malizioso o inganno teso a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti: “frode” significa avvantaggiarsi con qualche inganno e pur non dovendo, tale nozione, estrinsecarsi nell’uso di artifizi o raggiri, propri del delitto di truffa, deve risolversi in comportamenti simulatori o maliziosi: diversamente, non sarebbe possibile, sul piano sistematico, differenziare la fattispecie in questione da quella precedente, riguardante l’inadempimento nelle pubbliche forniture.

D’altro canto si afferma invece che la configurazione della “frode” non richiede un comportamento ingannevole: il tipo criminoso dell’art. 356 c.p. s’identifica nell’inadempimento che sia effetto di malafede contrattuale, di violazione cioè del principio di buona fede e lealtà nell’esecuzione dei contratti sancito dall’art. 1375 c.c. La condotta rilevante, dunque, dovrebbe risolversi, si è visto sopra, nella dolosa consegna di cose diverse da quelle pattuite (aliud pro alio) oppure nella consegna di cose ed opere in tutto o in parte difformi (per origine, provenienza, qualità e quantità), e in misura, fra l’altro, come si dice, apprezzabilmente significativa.

Per inciso, e sempre in termini di inquadramento generale del problema, va precisato in limine che, come accennato sopra, la “frode” qui implicata concerne la fase esecutiva del contratto. E che, quanto alla tipologia dei contratti nel corso dei quali la stessa può realizzarsi, l’art. 356 c.p., richiamando la disposizione precedente (art. 355 c.p.), e segnatamente i “contratti di fornitura”, riguarda, in senso atecnico, ogni tipologia di contratto destinato a procurare alla Pubblica Amministrazione la disponibilità di cose, opere e servizi.

Nello specifico: il momento consumativo

Pare opportuno, infine, anche qualche sintetico rilievo sul momento di consumazione del reato: la ricostruzione prescelta del concetto di “frode” orienta infatti anche la conclusione interpretativa in ordine all’esatta identificazione del momento consumativo della fattispecie.

E stando alla descrizione sopra tratteggiata, a tal fine non è di conseguenza richiesta, anzitutto, la collaborazione del creditore, mediante qualsivoglia atto di accettazione del debitore.

Ciò premesso, si afferma poi con una certa genericità che il reato di cui all’art. 356 c.p. è di pura condotta e si consuma nel momento in cui viene eseguita la prestazione difforme.

Sul punto deve avvertirsi però che il reato si consuma, certamente, nel momento in cui risulta eseguita la prestazione difforme, ma a patto che in quello stesso momento risulti realizzato, secondo la logica della suddetta fattispecie complessa, anche l’espediente malizioso mirante ad ingannare.

E’ possibile, inoltre, suddividere a riguardo le fattispecie contrattuali in varie categorie, con diversità di momenti consumativi.

Ove perciò si tratti di negozi aventi ad oggetto la consegna di un bene, si tende ad identificare la consumazione del reato nel momento e nel luogo della sua fraudolenta esecuzione, vale a dire in quello in cui avviene la consegna della cosa. Ed anche in tal caso conviene precisare però che il reato si consuma con la consegna se, in quello stesso momento, sarà stata posta in essere anche l’altra parte di condotta, quella ingenerante l’apparenza ingannatoria. Diversamente, si avrà inadempimento, in presenza naturalmente di tutte le condizioni dell’art. 355 c.p.

Lo stesso principio vale per i contratti di appalto aventi ad oggetto l’esecuzione di opere, in cui il delitto deve intendersi perfezionato con la consegna dell’opera stessa (e sempre che, anche in tal caso, si sia compiutamente esaurita anche la condotta ingannevole).

La giurisprudenza tuttavia tende ad affermare, in ipotesi di questo genere, che il reato potrebbe consumarsi anche prima della consegna dell’opera, quando, in particolare, la Pubblica Amministrazione contesti alla parte, nel corso di esecuzione dell’opera stessa, i vizi o le inadempienze contrattuali accertate. Nondimeno è al momento della scadenza del termine fissato nel contratto, e dunque della consegna dell’opera, che si concretizza il pericolo di pregiudizio al buon andamento, e che sarà poi destinato a rinforzarsi con lo stretto meccanismo fraudolento. Prima della scadenza del termine, e della consegna, non si è ancora consolidata la situazione di pericolo che quel meccanismo potenzierà facendo scattare l’applicazione di un più elevato trattamento sanzionatorio.

 

Giurisprudenza di riferimento:

– Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 31/10/2006) 16/01/2007, n. 771;

– Cass. pen., Sez. II, Sent., (data ud. 20/03/2009) 10/04/2009, n. 15667.